Se salta Prodi: ...
Storicamente la Confindustria italiana è filo-governativa. Lo dimostra il fatto che l’organizzazione del padronato ha consentito al governo Berlusconi di portare il Paese in una situazione di terribile precarietà economica e di gravi tensioni sociali senza mai pronunciare un amen di protesta. Per cinque anni si è sperperato danaro pubblico annullando quanto di positivo aveva fatto il precedente governo per risanare le finanze dello Stato. La scomparsa dell’avanzo primario nel bilancio dello Stato non ha costituito elemento di disturbo per gli industriali. Le avventurose cartolarizzazioni di Tremonti sono state considerate da molti valenti imprenditori come pura creatività. Le conseguenze si sono viste nel riesplodere del debito pubblico. E’ da domandarsi perché a soli pochi mesi dalla formazione del governo, Montezemolo abbia ritirato qualsiasi forma di fiducia a Prodi. Noi non crediamo ai complotti e la dura reprimenda di Montezemolo la consideriamo un elemento di chiarificazione.
Siamo poco convinti che l’asse del governo sia spostato verso sinistra e i condizionamenti di Pecoraro Scanio o di Diliberto non ci sembrano così decisivi. Bertinotti poi è al di sopra delle parti. Montezemolo chiede l’uscita dal governo delle forze di sinistra. O noi o loro ha urlato in quel di Prato. Non sapevamo che oltre il corpo elettorale fosse necessario il consenso confindustriale per formare un governo e stupisce che si possa considerare la finanziaria di Padoa Schioppa come un documento di lotta di classe. Magari lo fosse. Dopo anni di abbassamento del tenore di vita di tanta parte del popolo italiano, un riequilibrio nella ripartizione della ricchezza nazionale a vantaggio dei ceti popolari sarebbe stato più che giusto. Non è così e Montezemolo lo sa benissimo. Vuole alzare il prezzo. Anche la Confindustria chiede le riforme. Anche loro sono riformisti. Il discorso è il solito: liberalizzazioni, tagli al sistema pensionistico e in genere al già rachitico welfare italiano. Le reazioni nel centrosinistra sono state diversificate. Prudenti si potrebbe aggiungere. E il motivo della prudenza va ricercato nella valutazione diversa… del dopo Prodi. L’intrepido Casini già si offre per sostituire la sinistra massimalista e già il ministro Mastella annuncia di essere contrario alle elezioni anticipate. Se salta Prodi pronto a nuove alleanze.
Sembra un sogno e invece è un vero e proprio incubo lo scenario politico futuro.
Emerge in tutta la sua drammaticità la mancanza di una sinistra capace di una visione complessiva della situazione del Paese. Frantumate e prive di un progetto unitario, le forze della sinistra non riescono ad andare oltre la sloganistica. Si può essere d’accordo o no, e noi non lo siamo, ma il partito democratico è oggettivamente in costruzione. Ne sono stati fissati i tempi e i modi. Perché la sinistra non fa un passo avanti rispetto all’esigenza di unificare le scarse membra di cui è composta? La spiegazione va ricercata nella crisi della democrazia rappresentativa.
La distruzione dei partiti di massa è stata perpetrata per inseguire un modello di democrazia incentrata sul rapporto diretto elettore ed eletto.
Sembrerebbe una giusta cosa, ma senza la mediazione di una struttura in cui la democrazia si esercita permanentemente, non possono che crearsi le oligarchie politiche con annesse clientele. Le oligarchie si reggono grazie alla trasformazione dell’agire politico in un mestiere come gli altri. Soltanto meglio pagato. Questo processo ha riguardato anche la sinistra. La leaderite non è problema che riguarda soltanto i riformisti duri e puri. E’ problema che concerne gran parte del personale politico oggi in campo ad ogni livello.
Non è casuale che ad Orvieto, nella convention dell’Ulivo, uno dei progetti organizzativi emersi sia un’idea di partito con un vincolo diretto tra il leader e gli elettori. Questo è il partito all’americana, bellezza! Ha un bel dire Fassino che non è l’idea che lui ha in testa. Il buon Veltroni ha dato la sua disponibilità alla candidatura a premier soltanto se vi sarà l’elezione diretta del primo ministro. E’ l’America che hanno in testa e non c’è niente di male. Basta dirlo con chiarezza. La realtà che viviamo da anni è quella dell’elezione diretta di sindaci e presidenti. Di parlamentari scelti tutti a Roma: gli elettori hanno avuto la possibilità di votare o non votare e non quale candidato votare. Le ipotesi di riforma della legge elettorale berlusconiana (in silenzio apprezzata da tutti gli oligarchi nazionali), sono esclusivamente quelle di reintrodurre il collegio uninominale che, come sperimentato per anni, assegna alle segreterie dei partiti la scelta dei candidati. Ha un bel dire Bertinotti che non sono le leggi elettorali che fondano la geografia dei partiti. I partiti non si rigenerano senza processi di rinnovamento profondo delle classi dirigenti. E per rinnovarsi bisogna ridare la parola al popolo anche con leggi elettorali che consentono la scelta dei rappresentanti nelle assemblee.
Senza mettere in campo idee diverse di democrazia non potrà che esserci una sinistra fragile, divisa, senza progetto e con un ceto politico che si autoriproduce per tempi biblici.
P.S. Immaginandovi felici per il successo di Eurochocolat e certi della gioia dei perugini, non abbiamo voluto intristire parlando della politica in Umbria. Niente di notevole, comunque.
Storicamente la Confindustria italiana è filo-governativa. Lo dimostra il fatto che l’organizzazione del padronato ha consentito al governo Berlusconi di portare il Paese in una situazione di terribile precarietà economica e di gravi tensioni sociali senza mai pronunciare un amen di protesta. Per cinque anni si è sperperato danaro pubblico annullando quanto di positivo aveva fatto il precedente governo per risanare le finanze dello Stato. La scomparsa dell’avanzo primario nel bilancio dello Stato non ha costituito elemento di disturbo per gli industriali. Le avventurose cartolarizzazioni di Tremonti sono state considerate da molti valenti imprenditori come pura creatività. Le conseguenze si sono viste nel riesplodere del debito pubblico. E’ da domandarsi perché a soli pochi mesi dalla formazione del governo, Montezemolo abbia ritirato qualsiasi forma di fiducia a Prodi. Noi non crediamo ai complotti e la dura reprimenda di Montezemolo la consideriamo un elemento di chiarificazione.
Siamo poco convinti che l’asse del governo sia spostato verso sinistra e i condizionamenti di Pecoraro Scanio o di Diliberto non ci sembrano così decisivi. Bertinotti poi è al di sopra delle parti. Montezemolo chiede l’uscita dal governo delle forze di sinistra. O noi o loro ha urlato in quel di Prato. Non sapevamo che oltre il corpo elettorale fosse necessario il consenso confindustriale per formare un governo e stupisce che si possa considerare la finanziaria di Padoa Schioppa come un documento di lotta di classe. Magari lo fosse. Dopo anni di abbassamento del tenore di vita di tanta parte del popolo italiano, un riequilibrio nella ripartizione della ricchezza nazionale a vantaggio dei ceti popolari sarebbe stato più che giusto. Non è così e Montezemolo lo sa benissimo. Vuole alzare il prezzo. Anche la Confindustria chiede le riforme. Anche loro sono riformisti. Il discorso è il solito: liberalizzazioni, tagli al sistema pensionistico e in genere al già rachitico welfare italiano. Le reazioni nel centrosinistra sono state diversificate. Prudenti si potrebbe aggiungere. E il motivo della prudenza va ricercato nella valutazione diversa… del dopo Prodi. L’intrepido Casini già si offre per sostituire la sinistra massimalista e già il ministro Mastella annuncia di essere contrario alle elezioni anticipate. Se salta Prodi pronto a nuove alleanze.
Sembra un sogno e invece è un vero e proprio incubo lo scenario politico futuro.
Emerge in tutta la sua drammaticità la mancanza di una sinistra capace di una visione complessiva della situazione del Paese. Frantumate e prive di un progetto unitario, le forze della sinistra non riescono ad andare oltre la sloganistica. Si può essere d’accordo o no, e noi non lo siamo, ma il partito democratico è oggettivamente in costruzione. Ne sono stati fissati i tempi e i modi. Perché la sinistra non fa un passo avanti rispetto all’esigenza di unificare le scarse membra di cui è composta? La spiegazione va ricercata nella crisi della democrazia rappresentativa.
La distruzione dei partiti di massa è stata perpetrata per inseguire un modello di democrazia incentrata sul rapporto diretto elettore ed eletto.
Sembrerebbe una giusta cosa, ma senza la mediazione di una struttura in cui la democrazia si esercita permanentemente, non possono che crearsi le oligarchie politiche con annesse clientele. Le oligarchie si reggono grazie alla trasformazione dell’agire politico in un mestiere come gli altri. Soltanto meglio pagato. Questo processo ha riguardato anche la sinistra. La leaderite non è problema che riguarda soltanto i riformisti duri e puri. E’ problema che concerne gran parte del personale politico oggi in campo ad ogni livello.
Non è casuale che ad Orvieto, nella convention dell’Ulivo, uno dei progetti organizzativi emersi sia un’idea di partito con un vincolo diretto tra il leader e gli elettori. Questo è il partito all’americana, bellezza! Ha un bel dire Fassino che non è l’idea che lui ha in testa. Il buon Veltroni ha dato la sua disponibilità alla candidatura a premier soltanto se vi sarà l’elezione diretta del primo ministro. E’ l’America che hanno in testa e non c’è niente di male. Basta dirlo con chiarezza. La realtà che viviamo da anni è quella dell’elezione diretta di sindaci e presidenti. Di parlamentari scelti tutti a Roma: gli elettori hanno avuto la possibilità di votare o non votare e non quale candidato votare. Le ipotesi di riforma della legge elettorale berlusconiana (in silenzio apprezzata da tutti gli oligarchi nazionali), sono esclusivamente quelle di reintrodurre il collegio uninominale che, come sperimentato per anni, assegna alle segreterie dei partiti la scelta dei candidati. Ha un bel dire Bertinotti che non sono le leggi elettorali che fondano la geografia dei partiti. I partiti non si rigenerano senza processi di rinnovamento profondo delle classi dirigenti. E per rinnovarsi bisogna ridare la parola al popolo anche con leggi elettorali che consentono la scelta dei rappresentanti nelle assemblee.
Senza mettere in campo idee diverse di democrazia non potrà che esserci una sinistra fragile, divisa, senza progetto e con un ceto politico che si autoriproduce per tempi biblici.
P.S. Immaginandovi felici per il successo di Eurochocolat e certi della gioia dei perugini, non abbiamo voluto intristire parlando della politica in Umbria. Niente di notevole, comunque.